Rendere lo stupro inimmaginabile

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[Original in English here.] di Kamala Emanuel 5 ottobre 2016 — traduzione di Giuseppe Volpe, ZNet Italy — “’E’ solo un pene’: stupro, femminismo e differenze” [1] è un affascinante testo di antropologia e offre un utile punto di partenza per una discussione molto necessaria. In esso Christine Helliwell offre un resoconto e una discussione di un incidente che illustra vividamente che cosa significa vivere in una società in cui lo stupro è inimmaginabile. L’incidente, e il saggio, offrono parecchia materia di riflessione alle femministe dell’occidente, riguardo a come potremmo immaginare una società senza stupri, senza la minaccia di stupri e persino senza la possibilità di concepire lo stupro e quali passi potremmo intraprendere per realizzare una società simile. In un’epoca in cui le femministe occidentali stanno caratterizzando la nostra cultura come una cultura di stupro, il quadro dipinto dalla Helliwell di una società priva di stupri ci rende disponibile un contrasto che può aiutarci a capire meglio la nostra stessa società e che cosa c’è in essa che rende possibile, persino inevitabile, lo stupro. La Helliwell ha vissuto per venti mesi con i Gerai, una comunità daiacca del Borneo indonesiano. In tale periodo non si è imbattuta in alcun racconto di aggressioni o tentate aggressioni sessuali (cosa di cui è certa sarebbe venuta a conoscenza se fosse accaduta, a causa dell’assenza di riservatezza). Il fatto più simile è stato l’incidente che ella racconta, in cui un uomo si è insinuato nella casa e nel letto di una donna di notte e le ha detto di stare zitta, intimandole che voleva fare sesso con lei. Ciò che all’occhio occidentale appare un tentativo di stupro, per i Gerai era qualcosa di totalmente diverso. La donna ha urlato contro l’uomo e questi è fuggito dalla casa pieno di vergogna e in effetti se n’è andato per un periodo in un altro villaggio. Lei era arrabbiata non perché aveva tentato di fare sesso con lei contro la sua volontà (non l’aveva fatto), ma perché aveva supposto che lei voleva avere sesso con lui (perché aveva accettato i suoi primi doni) e non ne aveva discusso con lei prima di entrare nel suo letto. Nella chiassosa e pubblicissima discussione che ebbe luogo il giorno dopo, l’idea della Helliwell che si era trattato di una situazione pericolosa in cui era stato evitato uno stupro e in cui la donna avrebbe potuto temere di essere costretta a fare sesso non incontrò alcuna comprensione da parte degli abitanti del villaggio o della stessa donna. Non esisteva alcuna parola per lo stupro e nessuna concezione che fosse addirittura possibile per un uomo costringere una donna a fare sesso contro la sua volontà. Nel saggio la Helliwell indaga che cosa sta alla base di questa assenza dello stupro dal pensiero e dalla pratica presso i Gerai. I Gerai sono una società orticola che si basa sulla coltivazione del riso, cui partecipano uomini e donne. Anche se la società è relativamente ugualitaria, sia gli uomini sia le donne parlano dei maschi come “superiori”. Nella legge questo significa che la testimonianza di una donna vale i 7/10 di quella di un uomo, un marito ha certi diritti sulle donne che le donne non hanno sui loro mariti. Anche così la disuguaglianza sociale che in effetti esiste non si trasferisce sui rapporti personali, sulla costruzione dei generi e sulle concezioni di che cosa siano il sesso e i rapporti sessuali in modo tale da rendere possibile lo stupro. La violenza è insolita ma non assente dalla società nel suo complesso e l’aggressività non è valorizzata, bensì derisa come segno di pigrizia e incompetenza. Ma ciò che realmente spicca è il modo in cui i Gerai vivono, parlano e pensano il genere e il sesso, in modo radicalmente differente dall’esperienza e dal discorso occidentale (per usare, scusandomi, un’espressione piuttosto accademica). La Helliwell entra in un mucchio di dettagli, spiegando i modi in cui le donne e gli uomini sono considerati prevalentemente la stessa cosa, piuttosto che essenzialmente diversi, e il ruolo cruciale del lavoro (piuttosto che del sesso) nel determinare il genere. Nel sottolineare l’identicità, gli uomini e le donne sono considerati più adatti a certi ruoli piuttosto che ad altri, anziché come opposti polari. Così nel lavoro, anche se uomini e donne prendono ugualmente parte alla coltivazione del riso, le donne sono considerate più adatte a selezionare e riporre i semi del riso per la semina dell’anno successivo e gli uomini a liberare i campi per la coltivazione e sono questi compiti che sono considerati quelli che determinano il genere. Il ruolo delle donne nella procreazione è ritenuto derivare dal loro ruolo nel conservare i semi e le metafore per la coltivazione dei chicchi e quelle dell’allevamento dei bambini sono le stesse. Cioè il fatto di essere brava nella scelta e conservazione dei semi rende una persona una donna ed è questo che rende alcune donne (ma non tutte) in grado di diventare madri. Questa analogia si estende ai corpi e, significativamente, ai genitali. Le persone non sono considerate come provenienti in due distinti tipo corporei, maschio e femmina, ma sono fondamentalmente le stesse. La sola differenza attribuita ai genitali delle donne e a quelli degli uomini sono dove essi si trovano (dentro il corpo per le donne – il posto sicuro in una società dove l’”esterno” del villaggio è insicuro – o fuori, nel caso degli uomini, i cui genitali sono considerati perciò più vulnerabili di quelli delle donne) ma sono considerati della stessa forma ed essenza. Si dice che alcuni uomini hanno le mestruazioni; alcuni uomini offrono ai piccoli i loro capezzoli per calmarli e si dice che alcuni uomini producano il latte; c’è persino il mito di una donna che non voleva portare avanti un feto e così suo marito fece un contenitore per portare avanti la gestazione fino a quando non fu il suo tempo per nascere. Proprio come gli organi sessuali sono considerati fondamentalmente gli stessi, sono anche ritenuti produrre lo stesso genere di fluidi. Il rapporto sessuale è considerato un mescolamento di fluidi, di forze vitali e di piaceri, mentre la procreazione è ritenuta derivare dal mescolamento di identicità, non di differenza, e richiederlo. Il rapporto sessuale è ritenuto derivare da bisogni reciproci (in una società in cui è difficile immaginare bisogni che non siano contraccambiati) e non considerato qualcosa cui una persona si dedica con un’altra che non ne sente il bisogno, cioè mediante coercizione. Per dirlo in un altro modo, in questo contesto di mutualità e relativa vulnerabilità sessuale maschile, l’idea che un uomo introduca a forza il suo pene nella vagina di una donna contro la sua volontà è qualcosa che semplicemente non passa per la testa di nessuno. Come ha esclamato la donna al centro dell’aneddoto narrato dalla Helliwell: “E’ solo un pene. Come può un pene far male a qualcuno?”. Anche se l’eterosessualità è la norma tra i Gerai, la maschilità e la femminilità (ciò cui la Helliwell si riferisce come a “corpi sessuati”) e lo stesso sesso eterosessuale non sono interpretati in cui lo sono l’eterosessualità e il sesso eterosessuale in occidente. In tale contesto culturale concezioni e metafore di penetrazioni, conquista e aggressione maschili sono assenti dal modo in cui il sesso è discusso e praticato, così come la passività, vulnerabilità e autoprotezione femminili. Il fallo non è il simbolo di potere che è nella cultura occidentale. Nel rapporto sessuale il pene è “accolto” nella vagina; un modo molto diverso persino di pensare a ciò che il sesso implica molto diverso dal modello dominante in occidente di attivo dominio maschile e di ricettività maschile (un modello che permea persino il modo in cui si parla di ovuli e sperma). Tutto questo insieme modella la logica dei Gerai riguardo al sesso, riguardo in che cosa consiste e a che cosa persino sia fisicamente possibile sia desiderabile per le persone, rendendo il sesso forzato qualcosa di estraneo all’esperienza e al pensiero dei Gerai, comprese, suppongo, le fantasticherie. Per la Helliwell l’assenza dello stupro nella società Gerai contribuisce all’assenza della differenza, nei pensieri e nelle esperienze dei Gerai, tra i corpi e le sessualità maschili e femminili. Per contro l’esistenza dello stupro in occidente fa parte del processo di creazione del genere di maschilità e femminilità occidentale che si esprime nell’aggressione e penetrazione maschile e nella vulnerabilità e autoprotezione femminile, tanto quanto tale differenza rende possibile lo stupro. Il saggio della Helliwell ha molte implicazioni importanti e suscita domande che val la pena di approfondire. L’implicazione ovvia è che lo stupro, l’esistenza dello stupro in una data società, non è un’esperienza universale. La paura dello stupro non è un’esperienza femminile universale, anche se è una paura universale o almeno diffusa (e se non la paura, una possibilità riconosciuta) delle donne nella società occidentale. E’ possibile vivere in una società sufficientemente ugualitaria e con un’esperienza del genere, del sesso e della sessualità che rendono lo stupro impossibile. Esseri umani lo fanno da qualche parte, oggi. Dunque non si tratta di una fantasticheria. Potremmo realmente tentare di costruire una società che emuli tale esperienza. Per tutti noi che aspiriamo a una società senza tale minaccia (per noi, per le nostre figlie, per tutti) questa può essere una fonte di grande speranza su una base solida, reale. Detto questo non c’è modo di poter trasferire automaticamente nella nostra società quello che vediamo in quella Gerai. Ma possiamo usare l’interpretazione delle differenze sessuali, di genere e dello stupro che ci offre la società Gerai per cominciare a immaginare che cosa potrebbe essere necessario per sradicare lo stupro dalla nostra cultura. Come altre femministe, io ho supposto a lungo che fosse possibile creare una società priva di stupri elevando la condizione delle donne in modo tale che il livello di rispetto tra donne e uomini, basato sull’uguaglianza sociale, precludesse l’accettazione dell’aggressione, del dominio, della violenza e del diritto sessuale che sono alla base dello stupro. Ciò che l’esperienza della vita senza stupri dei Gerai suggerisce è che anche se la condizione delle donne può essere importante, la costruzione del genere e della sessualità può contare anche di più. Per sviluppare una cultura che renda inconcepibile lo stupro dovremmo rivoluzionare sesso e genere per eliminare la differenza di sesso e por fine al collegamento del genere con il sesso? Si tratta di ciò che è al cuore della differenza tra le nostre due società, rendendo possibile lo stupro nell’una e non nell’altra. Come società che non distingue tra uomini e donne in modo fondamentale sulla base dei corpi e degli organi sessuali, l’esperienza dei Gerai sfida il presupposto che la differenza sessuale sia (o debba essere) la base del genere. L’esistenza di una società completa in cui la costruzione binaria del genere derivata dalla costruzione binaria del sesso è semplicemente assente illustra inequivocabilmente l’importanza della cultura nell’interpretare e costruire sesso e genere e che non c’è nulla di scontato o immutabile riguardo a queste categorie o esperienze. L’esperienza dei Gerai si spinge oltre la mera contestazione del presupposto che il sesso biologico e l’identità di genere possano non essere allineati, una concezione che continua ad affermare che esiste un collegamento (ad esempio in quelle persone transessuali che parlano della loro sensazione di un corpo sbagliato, che ci sia il problema che la loro identità di genere e il sesso assegnato alla nascita non corrispondano, che i loro corpi devono cambiare per corrispondere al loro genere). L’esperienza dei Gerai illustra che è possibile per una società costruire i generi senza riferimento (almeno principalmente) al sesso anatomico. La Helliwell allude alla separazione di sesso e genere quando suggerisce che sarebbe meglio non utilizzare i termini “uomini” e “donne” parlando dei Gerai, perché tali termini sono così carichi di presupposti sessuali, ma sarebbe meglio parlare di “responsabili della selezione e conservazione del riso” e di “responsabili dell’abbattimento dei grandi alberi per creare un campo di riso”. Se cercassimo di rivoluzionare genere e sesso, l’identità di genere permarrebbe? Su che cosa si baserebbe? Per i Gerai deriva dalla divisione del lavoro cooperativo in uno spettro sovrapposto che è condiviso, con due aree necessarie ma distinte di competenza di genere (ma non sessuata). Ma, considerata la complessità della nostra società e i molti contributi che le persone possono offrire al nostro benessere economico e sociale, quale tipo di ruolo di genere sarebbe attribuito al lavoro, e sarebbe persino desiderabile? Femministe di varie correnti hanno combattuto perché il lavoro e le capacità delle donne non fossero definite o confinate ai nostri corpi sessuati o al nostro genere. Se dovessimo porci l’obiettivo di contrastare il rapporto tra sesso e genere e tra genere e lavoro, immagineremmo l’esistenza comunque di un qualsiasi spazio per il genere come identità? Potrebbe essere sostituito dal lavoro come identità, indipendentemente da sesso e genere e senza alcun collegamento con il potenziale riproduttivo o il ruolo da genitori? Nulla di questo intende suggerire che semplicemente cambiare ciò che chiamiamo noi stessi, o i pronomi che usiamo, sradicherà lo stupro. Sono sicura che ci sono molte ottiche da cui dobbiamo affrontare il cambiamento della società per rendere possibile l’eliminazione dello stupro. Sono sicura che mitigare le violenze domestiche e le aggressioni sessuali, sostenere servizi, uguale remunerazione, coinvolgimento delle donne in lavori non tradizionali, un’educazione sessuale completa nelle scuole e un lavoro psicologico con gli aggressori siano tutte componenti di un progetto sociale complessivo per elevare la condizione delle donne ed eliminare, o almeno ridurre considerevolmente, la minaccia dello stupro. Ma in aggiunta ai cambiamenti strutturali, sociali di cui abbiamo bisogno, abbiamo anche bisogno di rivoluzionare che cosa significa essere donne e uomini? Trasformare persino ciò che è il rapporto sessuale, come lo pratichiamo, come lo rappresentiamo nella nostra cultura, come lo pensiamo? Il movimento per por fine alla costruzione binaria di sesso e genere, cui da angoli diversi, hanno lavorato attivisti intersessuali, transessuali e omosessuali, condurrà anche alla liberazione di uomini e donne cisessuali dalle pratiche, idee e identità che rendono lo stupro possibile? Essendo stati sessualizzati in una società occidentale, sperimentandoci (non molti, ma un numero sufficiente di noi) come maschi e femmine, sperimentando piacere sessuale ed erotizzazione di tutto ciò che ha a che fare con il sesso come penetrazione, c’è qualche speranza di quelli che effettivamente esistono oggi nella nostra società? E’ qualcosa cui aspirare e per cui preparare il terreno per le future generazioni, mentre ci accontentiamo prevalentemente (ma non semplicemente) di elevare la condizione delle donne e di insegnare a uomini e ragazzi (che continueranno a essere uomini e ragazzi della società occidentale) a non stuprare? La rottura con come siamo sessuati e abbiamo un genere oggi necessaria per creare uomini e donne che non conoscono lo stupro è così vasta che, anche se i Gerai hanno tale società e sono tali uomini e donne, resta impensabile che possiamo creare una cultura priva di stupri in un qualsiasi arco temporale concepibile? Naturalmente non ho le risposte, ma penso che il saggio della Helliwell indichi queste domande, e molte altre che non sono stata in grado di toccare (compresa la razzializzazione dello stupro e l’assunto che si tratti di un’esperienza universale). Il saggio merita bene la lettura e non vedo l’ora di coinvolgermi con altri in una discussione su tutto ciò, con quelli che hanno già compiuto l’impegnativo compito di mettere in discussione le concezioni occidentali di genere e sesso, quelli che vogliono sradicare lo stupro e trasformare gli elementi della nostra società che lo rendono inevitabile e con chiunque altro sia impegnato nella costruzione di movimenti sociopolitici o intraprenda passi pratici per liberare il sesso e le nostre vite dalla coercizione e dall’oppressione, nel pensiero e nell’azione. Note [1] Helliwell, C. (2000). “It’s Only a Penis”: Rape, Feminism, and Difference. Signs, 25(3), 789-816. Ottenuto da http://www.jstor.org/stable/3175417